Ricordo ancora il mio primo trail. Avevo 16 anni, scout gruppo Roma 110, capo squadriglia dei Falchi. In realtà i ricordi sono in bianco e nero, come le foto del tempo. Allora non si chiamava trail, ma hike, e negli scout era una prova di iniziazione, durante un campo estivo l’ultimo campo da scout, prima di passare al noviziato. Dovevo percorrere in un giorno un percorso ad anello di circa 40km, notte compresa, tra i monti della Meta in Abruzzo.Gli scarponi era quelli dell’esercito, anfibi marroni, comprati usati al mercato di via Sannio. Usati, ma perfettamente ingrassati, erano ritornati come nuovi. Lo zaino, anche quello era uno zaino militare, senza intelaiatura, un sacco di tela grossa verde, con degli spallacci rigidi come ferro. Le borraccie due di acciaio, militari anche quelle. Il fornello a spirito, di acciao. La tenda, della Ferrino a due posti, intelaiatura in ferro come i picchetti per montarla, peso 15 chili. La torcia enorme. Maglione e calze militari, di lana grossa. In tutto penso che lo zaino doveva pesare tra i 25 ed i 30 chili. La cartina era una fotocopia fatta da una carta militare. Ne avevo due, una di riserva nello zaino una nella tasca dei pantaloni. La bussola, quanto di più semplice poteva esserci, ed un fischietto di metallo. Regalo di Alberto, Roberto e Bruno, i miei amici, per ilcompleanno. Quelli con i quali passavo la gran parte del mio tempo di allora. Con i quali suonavamo a qualche festa ed alla messa la domenica.
Ricordo l’eccitazione e la preoccupazione della notte prima. Poi alle quattro del pomeriggio la partenza. I chilometri, la strada persa decina di volte. La prima notte da solo in tenda su un altipiano. E poi la sveglia la mattina presto, alle prime luci dell’alba. Ed ancora i chilometri, la strada persa. Alla fine l’arrivo al punto x ad ora di pranzo e poi il ritorno. Del ritorno ricordo solo le lagrime per la sofferenza fisica ed il dolore ai piedi ed alle spalle. E la grande forza di volontà di continuare e finire quello che avevo iniziato. Arrivai alle 18:00 del giorno dopo. Ventisei ore. Le spalle segnate dai lividi e scavate dagli spallaci dello zaino. Le calze sporche di sangue per le vesciche esplose. E la grandissima gioia per avercela fatta. Erano quelli anche i tempi dei primi innamoramenti. Ricordo ancora quando all’arrivo ho visto la guida, le di cui ero segretamente innamorato, la ragazza che seguivo di nascosto alla sua uscita di scuola, nascosto nel cinema Don Bosco. Distrutto ma felice di incontrare di nuovo il suo sguardo.
Adesso tanti anni dopo, sto di nuovo per partecipare ad un trail 43 km 3000 metri di dislivello nell’appenino tosco romagnolo. Le scarpe tecniche da trail, con la possibilità di scegliere a casa tra diversi tipi, quella che ha la suola più adatta al percorso ed al tempo atmosferico. Lo zaino, 17 litri tecnico, piccolissimo e leggerissimo. Maglie e calze tecniche. Lampada frontale. Borraccie in materiale plastico. Barrette energetiche e gel per l’alimentazione. Telefonino impermeabile, con bussola, altimetro e GPS. Orologlio GPS. Lo zaino peserà tra quattro e cinque chili. Partenza alla sei di mattina. Arrivo previsto dopo 9-10 ore. Adesso sono solo la maggior parte del tempo. Da solo, per lavoro, viaggio due tre volte al mese in tutto il mondo. Ma incredibilmente eccitazione e preoccupazione sono quelle di allora. La fatica ed il dolore anche, ne sono sicuro. Così come il fischietto, che ancora ho e che porterò con me.
Ecco quel fischietto rappresenta la nostalgia di qualcosa che anche se uguale, non sarà mai più la stessa. Se potessi solo rivivere quei momenti anche per un attimo, lo rifarei con 25 chili sulle spalle, un vecchio zaino, gli scarponi militari e quel fischietto…